L’identità sportiva

L’identità è sempre alla ricerca di specchi da cui essere confermata, siano essi memorie o presenze (Salvini, 1982). L’immagine che lo specchio ci rinvia si instaura nella nostra mente, fornendoci il senso di continuità della nostra identità nel tempo. Un’immagine continuamente ristrutturata attraverso il presente che attenua o anche annulla le discontinuità.

L’insieme gestuale, mimico, motorio, estetico che il corpo esprime nell’incontro con l’altro ne fa un portatore di segni (Faccio 2007). Per esempio, la gestualità di una ballerina, di una ginnasta o di un lottatore, rimanda a contesti differenti. Quando essa è appropriata al contesto, le attribuzioni relative alla persona che agisce il ruolo risulteranno positive e confermante. In tal modo, la protagonista di questi movimenti fa un’esperienza reale di se stessa e da questa acquisisce i dati cognitivi e di valore con cui convalidare la propria identità, verso una ridefinizione della precedente.

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Alcune ricerche in psicologia dello sport (Salvini, 1982, 1984) hanno evidenziato una corrispondenza tra l’apprendimento di certe capacità e una modifica del concetto di Sé. Tuttavia, il mero apprendimento di una qualsiasi disciplina sportiva può anche non bastare per apportare tale modifica. Quindi, sarebbe sbagliato parlare di una causalità diretta tra pratica sportiva e identità. La ridefinizione dell’identità non si genererebbe direttamente dal praticare sport, ma dal significato individuale e sociale che queste esperienze portano con sé. Nel contesto sportivo, il significato di una determinata abilità motoria acquisisce valore per l’individuo se inserita in un contesto di norme istituzionali che la attestano come elemento positivo.

In conclusione, possiamo definire l’identità come una costruzione e ricostruzione continua in base ai feedback del contesto sociale (come quello sportivo) in cui siamo inseriti. Ne deriva che il Sé è il risultato della dinamica tra individuo e società.