Intervista a Elisa Ferrari: l’ingegnere-business woman della pallamano

Elisa Ferrari portiere della PDO Salerno

Elisa Ferrari: “Ho deciso di fare l’ingegnere quando avevo 12 anni”

È possibile laurearsi in Ingegneria, conseguire l’abilitazione, aprire una propria azienda conciliando il tutto con lo sport di alto livello? Sì, e a dimostrarlo è l’incredibile storia di Elisa Ferrari, portiere classe 1993 della Jomi PDO Salerno. Per chi segue poco la pallamano, Salerno è la squadra più vincente degli ultimi anni.

La pallamano, purtroppo, in Italia è “categorizzata” come sport minore. Una considerazione ingiusta: andate a vedere una partita di pallamano e vedrete quanto spettacolare e avvincente sia questo sport. Come per gli altri sport “rosa”, anche in questo caso non si parla di professionismo, pertanto le atlete devono affiancare all’attività sportiva una seconda attività. Il tutto con enormi sacrifici: si passa dall’ufficio alla palestra, con trasferte su e giù per l’Italia rigorosamente in pullman.

La carriera sportiva di Elisa inizia nel suo paese di origine, Bazzano (BO), per poi proseguire alla FIGH Futura Roma, Ariosto Ferrara, Dossobuono, fino a giungere a Salerno. Con la Jomi vince tutto: 3 scudetti, 3 Supercoppe e 2 Coppe Italia. Ad arricchire il suo curriculum c’è anche la maglia Azzurra della Nazionale, che veste da diversi anni. Grinta e determinazione caratterizzano il suo approccio alla gara: basta vedere con quale carica esulta dopo una parata.

Abbiamo contattato Elisa alla vigilia dei play-off Scudetto, parlando della sua carriera sportiva, professionale e di tanti altri temi.

Salerno negli ultimi 12 anni ha vinto 7 scudetti, 6 Coppe Italia e 5 Supercoppe italiane. Quanta responsabilità c’è nel vestire la maglia di una delle squadre più vincenti della pallamano italiana?

Salerno è una delle squadre più importanti nel panorama femminile italiano. Sicuramente c’è tanta responsabilità nel vestire questa maglia e ogni volta che si scende in campo c’è la consapevolezza di dover dare il meglio non solo per sé stessi, ma soprattutto per la squadra, per le compagne, per la società e anche per la città di Salerno, che ci ha sempre fatto sentire un caloroso affetto nei nostri confronti. Vincendo tanto, la città è molto legata alla squadra. C’è tanta responsabilità anche rispetto al panorama italiano, perché abbiamo sempre i riflettori puntati e tutti si aspettano grandi cose da noi.

In questa stagione avete vinto la Supercoppa, ma siete uscite sconfitte dalla Coppa Italia in un contesto alquanto sfortunato per voi. Tuttavia, proprio dalla trasferta in Coppa Italia è emersa la forza del gruppo squadra della Jomi. Può essere questo il fattore decisivo per vincere i play-off Scudetto?

Salerno ha sempre vinto tanto e non l’ha fatto grazie alle individualità dei singoli. C’è tanta attenzione al gruppo, partendo dal settore giovanile fino ad arrivare alla prima squadra. Il settore giovanile è una parte fondamentale del roster ed è sempre pronto ad intervenire nel momento in cui, come successo in Coppa Italia, la prima squadra non può essere disponibile al 100%. Abbiamo delle ragazze di valore e l’hanno dimostrato in Coppa Italia. La panchina lunga e la forza del gruppo saranno la nostra arma in più durante i play-off, lo sono sempre stati e anche quest’ anno hanno fatto la differenza. Nonostante in Coppa Italia fossimo decimate come prima squadra siamo comunque riuscite ad arrivare In finale, battendo Erice nella semifinale.

Elisa Ferrari con la Pdo Salerno vincitrice dell’ultima Supercoppa Italiana

Nella pallamano il ruolo del portiere è fondamentale e può decidere le sorti del match. È più importante la componente mentale o quella fisica?

Il ruolo del portiere è affascinante, ovviamente sono di parte (ride, ndr). È molto diverso rispetto a qualsiasi altro ruolo nella pallamano, infatti, anche per questo ha un allenatore dedicato. La parte fisica e la parte tecnico-tattica del portiere sono importanti, ma la parte fondamentale è l’aspetto mentale. Nello sviluppo di un atleta nel ruolo del portiere bisogna lavorare tanto sulla mente: un portiere arriva a “maturazione” in un’età più avanzata rispetto ai giocatori di campo. Se un giocatore di campo a 25-26 anni raggiunge la massima espressione delle proprie potenzialità, un portiere arriva a completa maturazione verso i 28-30 anni, proprio perché l’aspetto mentale è fondamentale e si fa fatica ad allenarlo. L’esperienza sul campo e l’atteggiamento in partita crescono con la consapevolezza della persona, quindi anche durante la gara saper gestire alcuni momenti è essenziale per l’esito di una partita.

Tu hai sempre condotto una doppia carriera, quella sportiva/studentesca prima, e lavorativa/sportiva in seguito. Come si fa a conciliare il tutto e, soprattutto, come si fa ad estraniarsi da una figura e immedesimarsi in un’altra dopo una giornata di lavoro impegnativa o dopo una partita andata male…

Praticando uno sport come la pallamano, che diciamo non è tra i più rinomati in Italia, è quasi obbligatorio fare una doppia carriera. È una cosa molto impegnativa e alla quale bisogna dedicarsi completamente. Non nego che ci sono stati dei momenti in cui facevo fatica a portare avanti il tutto, in particolare l’ultimo anno di università in cui dovevo studiare, lavorare e giocare a pallamano.

È difficile riuscire a staccare da una parte e concentrarsi su un’altra. Soprattutto all’inizio portavo i problemi di lavoro in campo, o viceversa. Poi, man mano, sono riuscita a dividere queste due cose e adesso per me un’attività è complementare all’altra: le sconfitte cocenti nell’ambito della pallamano sono sopperite dal lavoro e, al contrario, quando c’è un periodo impegnativo o non troppo felice a lavoro, la pallamano riesce a ridarmi quella serenità che non trovo in ambito lavorativo.

L’arte della costanza è una delle doti più nobili di voi atleti. Come si fa ad essere costanti nella vita e nello sport?

Lo sport insegna la costanza. Il segreto è fissarsi degli obiettivi sempre più grandi e crescenti. Prima di tutto è importante capire cosa si vuole fare nella vita ovvero darsi degli obiettivi a lungo termine, per esempio a 3-5 anni, poi scomporli all’linterno di obiettivi stagionali, mensili e poi pensare settimana per settimana alla partita o all’impegno che si ha. In questo modo, riuscendo ad allineare tutti questi obiettivi, si riesce a mantenere una costanza e anche se si trovano degli ostacoli all’interno di una settimana o di un mese, si riesce sempre a ricondurli all’obiettivo e al percorso generale.

Sei laureata in ingegneria dei materiali, un corso molto distante dall’ambito sportivo. Cosa ti ha spinto a scegliere questo percorso universitario?

Mi ha sempre affascinato l’ingegneria e tutto quello che riguarda la matematica e la razionalità. Mio papà è perito industriale e lavora nell’ambito della meccanica da una vita, quindi in famiglia ho sempre respirato questi argomenti. Ho sempre voluto fare l’ingegnere perché il mio fine ultimo è capire sempre come funzionano le cose. Diciamo che ho deciso di fare l’ingegnere quando avevo 12 anni (ride, ndr). Mi sento ingegnere non solo fuori, ma anche dentro per come approccio le situazioni della vita. Con la metodologia e con il metodo scientifico approccio quello che può essere anche la pallamano e lo sport. Quindi, l’ingegneria per me rappresenta non solo un lavoro, ma uno stile di vita.

In un Paese in cui i giovani hanno scarsa vocazione all’imprenditorialità, anche a causa del contesto socio-economico italiano, tu hai deciso per la via imprenditoriale, peraltro al Sud. Una grande sfida…

Siamo in un Paese in cui giovani e imprenditorialità non vanno molto a braccetto. Per me è stata una grande sfida decidere di diventare imprenditrice al Sud a soli 24 anni, però è anche la mia natura. Lo sport mi ha insegnato che le sfide animano la vita. Ogni giorno mi alzo con dei problemi da risolvere, con delle sfide quotidiane da affrontare, però è anche quello che mi gratifica enormemente.

Diciamo che nel contesto attuale per un giovane è difficile avere la voglia e gli strumenti per approcciare un’attività imprenditoriale, però secondo me per favorire questo è fondamentale che le persone più adulte, più esperte, vadano ad incontrare i giovani. Io ho avuto la grande fortuna di incontrare il mio socio che aveva già un’impresa alle spalle e ha voluto puntare tanto sui giovani e su di me. Quindi, quest’ unione tra esperienza imprenditoriale del mio socio e l’entusiasmo delle mie idee da persona più giovane, sono state il connubio perfetto per riuscire ad aprire un’impresa e portarla avanti anche al Sud.

Com’è nata l’idea QBM srl?

La QBM è nata tre anni fa dall’idea mia e del mio socio, Mario Guerrasio, che lavorava già da anni nell’ambito delle certificazioni. La QBM si occupa di sistemi di gestione aziendale, in particolare, tutto quello che riguarda le norme ISO, qualità, ambiente e sicurezza. Siamo una società di consulenza che aiuta le aziende a essere conformi a tutti i regolamenti, attraverso l’implementazione di procedure, di registrazioni e di tutto quello che concerne l’organizzazione aziendale. Ciò che abbiamo fatto di innovativo è stato introdurre un software gestionale per eliminare tutte le procedure di registrazione cartacee a favore di una digitalizzazione totale dell’impresa. Stiamo portando ancora avanti le nostre idee, tra l’altro con grande successo, perché abbiamo riscontrato su tutto il territorio nazionale la grande voglia di innovazione e digitalizzazione.

Elisa Ferrari è co-fondatrice della QBM srl

Tra le tante cose hai scritto anche un libro in ambito economico-gestionale …

All’inizio di questo percorso imprenditoriale ho voluto mettere per iscritto tutte quelle che sono le mie idee innovative e su cui si fonda anche la mia società. Ho scritto un libro che si intitola “Quality Business Management” in ambito economico gestionale. È un libro molto tecnico e racconta quello che secondo me è il futuro del nostro ambito lavorativo che per anni è stato “ingessato” in tutti quelli che sono i faldoni della qualità, quindi tanta carta e poca sostanza. Abbiamo riscontrato in questi anni un notevole distacco tra la parte operativa, in cui ci sono macchine a controllo numerico super digitalizzate, e la parte gestionale che è fatta ancora di tanta carta. Quindi, quello che vogliamo colmare è questo gap e in questo libro ho spiegato come può essere colmato e può essere digitalizzata anche tutta quella che è la parte gestionale di un’azienda.

Tu fai parte del consiglio direttivo del comitato femminile di Confindustria Salerno. Quali traguardi sono stati raggiunti dalle donne nell’imprenditoria e quali sono ancora da raggiungere?

L’anno scorso la nostra presidente, Alessandra Puglisi, ha voluto introdurmi nel consiglio direttivo di Confindustria, con mio grande piacere e gioia. Nell’ambito dell’imprenditoria le donne, purtroppo, sono molto svantaggiate. Dobbiamo lottare a favore della parità di genere e contro quelle che sono le disuguaglianze che anche nel 21º secolo persistono nel tessuto sociale e imprenditoriale. Però, secondo me, sono stati raggiunti grossi traguardi e tanti sono ancora da raggiungere. Purtroppo, questa pandemia ha accentuato ulteriormente le disuguaglianze. Nonostante questo, le donne hanno trovato la forza di rialzarsi e di reagire come sempre, trovando ulteriori modi per fare imprenditoria e inventandosi nuovi metodi per riuscire a favorire l’emancipazione, perché l’imprenditoria femminile è soprattutto questo: emancipazione.

Elisa Ferrari a un evento di Confindustria Salerno

Sempre a riguardo della parità di genere, quali diritti ti aspetti che vengano riconosciuti alle donne di sport?

Il tema dei diritti delle donne nello sport è uno di quelli che mi sta più a cuore di tutti. Mi aspetto che vengono riconosciuti all’interno del mondo dello sport quelli che sono i diritti delle donne in qualsiasi contesto lavorativo. Quindi, fondamentalmente, il diritto alla maternità, perché purtroppo nel momento in cui una donna rimane incinta viene sfavorita dalla propria società, invece dovrebbe essere tutelata, favorita e incentivata a fare questo, nonostante comporti un’assenza dal campo per parecchi mesi. In qualsiasi contesto lavorativo è garantita la maternità e il periodo pre e postparto. Quello che dovrebbe essere fatto è un programma di rientro dopo la maternità, perché sicuramente una donna che rimane incinta non è detto che debba per forza terminare la propria carriera sportiva, così come si pensa abitualmente.

Seconda cosa, la parità di salario in confronto con la controparte maschile perché è stato dimostrato più volte che lo sport femminile non ha nulla da recriminare dal punto di vista di spettacolarità, di ascolti o di visibilità rispetto a quello maschile. A fronte di questo deve essere garantita anche una parità di salario.

Hai anche creato il primo campus d’Italia dedicato ai portieri di pallamano, “Penso Quindi Paro”, che ha avuto subito successo. Lo riproporrai passata l’emergenza sanitaria?

Il progetto “Penso quindi Paro” è stato il primo in Italia. All’estero sono tantissimi i campus per i portieri. Ho voluto portare lo stesso format anche in Italia, cosa che non è mai stata fatta. Purtroppo, a causa dell’emergenza sanitaria, questo sarà il secondo anno che dobbiamo rimandare il campus.

Anche se sto riscontrando che altre persone, altri portieri, stanno organizzando lo stesso tipo di format in altre città e in altri contesti territoriali italiani. Questa cosa è veramente ottima: più diffondiamo il concetto che bisogna favorire questo tipo di iniziative e meglio è. Quindi, sicuramente il format del “Penso quindi Paro” sarà riproposto appena terminata l’emergenza sanitaria, però ci sono già altre iniziative simili su tutto il territorio nazionale italiano. Questo denota un interesse rispetto al ruolo del portiere, ma anche rispetto al fatto che bisogna diffondere la cultura della pallamano non solo attraverso il campionato e le iniziative giovanili, ma anche attraverso dei campus e delle Academy su tutto il territorio italiano.

Elisa Ferrari al “Penso Quindi Paro”

Il “Penso Quindi Paro” è un progetto di natura tecnica, ma nella creazione c’è anche la parte organizzativa. Tu hai curato entrambe. Nel tuo futuro ti vedi più manager dello sport o tecnico?

Il mio futuro nello sport non lo vedo di certo come tecnico, infatti non sto portando avanti un percorso di formazione come tecnico di pallamano perché non penso che questo possa essere il mio ruolo nel futuro. Al contempo, voglio curare tanto la mia natura manageriale perché penso che in Italia ci sia bisogno di una figura fondamentale come il manager di una squadra. Penso che questo sia un grosso gap della pallamano italiana: per diventare tecnico devi seguire dei corsi di formazione e un determinato percorso anche dal punto di vista di esperienze maturate sul campo, mentre per fare il manager di una squadra non c’è bisogno di nessun tipo di formazione. Questo gap va colmato e nel futuro mi vedo molto più manager che tecnico. Uno dei miei obiettivi è arrivare a gestire una squadra di pallamano dal punto di vista manageriale.

La pallamano è uno degli sport più seguiti e praticati al mondo. Molti Paesi Europei (Germania, Francia, Spagna, Paesi Balcanici…) sono avanti nella pallamano. Che cosa manca in Italia per raggiungere quei livelli?

Quello che manca in Italia è il professionismo. In Italia, nel campionato di A1, la percentuale di atleti che fa solo pallamano, quindi che fa della pallamano la propria vita, è minima. Ma non è da biasimare: è difficile in Italia vivere di sola pallamano, mentre negli altri Paesi è assolutamente normale. Per esempio, in Francia i giocatori pagano i contributi e, nel momento in cui c’è stato il lockdown e i campionati sono stati sospesi, lo stato francese ha pagato la cassa integrazione a tutti i giocatori di pallamano, così come in Italia è avvenuto per qualsiasi altra professione, qualsiasi altra azienda che ha dovuto chiudere a causa delle restrizioni.

Noi in Italia siamo veramente lontani da questo tipo di approccio professionistico al lavoro del giocatore di pallamano e questo è un divario che poi paghiamo a livello internazionale per quanto riguarda i risultati delle nazionali o anche dei club che vanno a giocare all’estero.

Se ti dovesse arrivare una chiamata dall’estero per un campionato importante, accetteresti?

Sicuramente andare a giocare all’estero è uno dei sogni di qualsiasi giocatore italiano di pallamano. Ciononostante non so se prenderei questa decisione perché vorrebbe dire rinunciare al mio lavoro. Se dovessi farlo, lo farei per non più di una stagione o per qualche mese. Però, mi piacerebbe tanto fare un’esperienza di pallamano all’estero anche per capire come si approcciano le altre Nazioni alla pallamano.